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Pensioni nella PA: c’è discrepanza tra dipendenti pubblici e privati?

Ultimamente si sta facendo un gran parlare di pensioni, di riforme messe in atto con l’obiettivo di rendere sempre più sostenibile il sistema previdenziale italiano, di rimborsi da riconoscere a quanti si son visti bloccare la rivalutazione della propria pensione con l’entrata in vigore della Legge Fornero, e così via. Ma al di là di tutto ciò c’è un particolare nodo della questione che sembra stia appassionando sempre più, ovvero quello che mira a rendere note le (eventuali?) diversità di trattamento che intercorrono tra il sistema pensionistico dei lavoratori privati e le regole della previdenza applicate ai dipendenti pubblici. Delle recenti ricerche hanno fatto luce su questa annosa e appassionante tematica, ma quale sarà l’esito di tali studi?

Pensioni nella Pubblica Amministrazione: a quanto ammontano?

Gli ultimi dati girati dall’Osservatorio della Gestione dei dipendenti pubblici peraltro rinvenibile sullo stesso sito dell’Inps, ci dicono che la pensione media lorda mensile percepita da un dipendente pubblico al primo gennaio 2015 sia di 1.772,90 euro: cifra che mette nero su bianco un aumento cresciuto rispetto all’anno scorso di 10 euro secchi. Più in particolare gli uomini che lavorano nella PA finiscono per percepire una pensione media di 2.175 euro mensili contro i 1.486 euro intascati dalle donne, mettendo a nudo anche in questo caso una disparità che ancora una volta vede il gentil sesso più in difficoltà non solo in quanto ad opportunità di successo nella professione, ma anche e soprattutto in termini di introiti percepiti.

Il fatto stesso che le pensioni dei dipendenti pubblici siano aumentate (seppur di poco) non fa che indurre al rialzo il dato della spesa pensionistica diretta al solo comparto degli statali. Non dimentichiamo infatti che pur a fronte di un aumento esiguo del reddito mensile, i dipendenti pubblici in Italia non sono mai stati numericamente pochi e i loro redditi da lavoro hanno più e più volte dimostrato esser superiori rispetto a quelli vigenti nel privato: condizioni, queste, che non aiutano di certo il contenimento della spesa pubblica. Ecco dunque che gli investimenti necessari per sostenere le pensioni dei dipendenti pubblici ammonta all’importante cifra di 65 miliardi di euro (+0,75%).

Reddito da pensione: pubblico vs privato

Poc’anzi abbiamo visto il reddito medio da pensione percepito dai dipendenti statali e in teoria basterebbe anche solo confrontare quel dato con quanto accade nel comparto privato per rendersi conto di una discrepanza che è effettivamente tale. La pensione media dei dipendenti privati nel 2015 è infatti di 1.026 euro mensili: tanto per toccare con mano la questione e fare un metro di paragone “ad effetto” ci sia sufficiente sapere che i dipendenti statali hanno una pensione mediamente superiore del 72% rispetto ai colleghi del privato.

Nel settore pubblico ci sono carriere generalmente più lunghe e meno discontinue. C’è poi una stabilità lavorativa che in genere dà modo di potersi tenere occupati per tutta la vita (a meno che non sia il lavoratore a volersi dimettere), elemento che, come noto, non è affatto presente in un mondo privato costretto invece a dover fare i conti con le leggi del libero mercato, i tagli del personale, il fallimento o l’accorpamento o la delocalizzazione delle aziende. E poi c’è anche da dire che, proprio come accennato nel paragrafo precedente, il reddito da lavoro di un dipendente statale è ben più alto rispetto a quello percepito da un dipendente privato con ovvie ripercussioni anche in termini di contributi e di pensione. Sono essenzialmente queste le ragioni per le quali tra queste due realtà ci passi di mezzo una differenza remunerativa tanto netta e iniqua.

Pensioni nella Pubblica Amministrazione: analisi per Cassa

Come abbiamo detto, la spesa pubblica necessaria per sostenere le pensioni dei dipendenti pubblici sta continuando ad aumentare a dismisura. Ma abbiamo chiara la destinazione di questi aumenti? Dall’analisi dei dati emerge che le casse “colpevoli” di avere al loro seguito un numero sempre maggiore di pensionati siano la Cassa trattamenti pensionistici dei dipendenti statali, la Cassa pensioni dei dipendenti degli Enti Locali, la Cassa pensioni sanitari, la Cassa pensioni insegnanti e la Cassa pensioni ufficiali giudiziari.

Già solo la prima Cassa, ovvero quella dei dipendenti statali, prende a sé il 63% del tesoretto totale per un quantitativo che in termini assoluti viaggia nell’ordine dei 40,8 miliardi di euro; ma anche la Cassa pensioni dei dipendenti Enti Locali cannibalizza gran parte della spesa facendo suo il 31% del totale per una spesa di 21 miliardi. Inoltre è emerso che il 96% delle pensioni percepite dagli autoferrotranvieri sia decisamente superiore rispetto a quanto spetterebbe se anche loro passassero al sistema contributivo: si tratta a tutti gli effetti di un ulteriore elemento per cui la spesa pubblica destinata alle pensioni dei lavoratori statali continui a segnare perenni incrementi.

Ridurre le disparità: quali soluzioni adottare?

Ma c’è un modo per risolvere queste differenze evidenti anche all’occhio meno matematico? C’è una via tramite la quale si possa fare in modo che sia ripristinato quanto meno un po’ di equilibrio di trattamento tra i dipendenti pubblici e quelli privati? E c’è un metodo tramite il quale si possa riuscire a contenere l’innalzarsi della spesa pubblica che è peraltro causa stessa della crisi economica italiana? Sotto questo punto di vista le soluzioni spesso decantate sono essenzialmente due: ridurre notevolmente il numero dei dipendenti statali tramite la sburocratizzazione e la digitalizzazione (due vere nemiche per chiunque ambisca alla crescita dello statalismo), oppure mettere in atto una decisione secondo la quale tra lavoratori pubblici e privati non ci sia più differenza alcuna e che per loro valgano quindi le stesse identiche regole su qualsiasi fronte (dall’ingresso nel mondo del lavoro, al licenziamento fino al calcolo della pensione).

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