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Digital Tax: cos’è, come funziona e a quali scenari apre

In questi giorni sta facendo discutere la proposta avanzata dal premier Renzi circa l’introduzione di una Digital Tax (altrimenti nota come “Google Tax”). Si tratta di un tributo che potrebbe essere inserito nella prossima Legge di Stabilità e che è stato progettato per colpire i grandi colossi come Google, Facebook, eBay, Microsoft e così via: il principio della Digital Tax è sostanzialmente quello di far pagare le tasse nei luoghi in cui si matura il guadagno.

E già il significato di questa misura porta alla luce una serie di legittime perplessità: se da una parte v’è chi ritiene giusto che i grandi colossi dell’informatica paghino le tasse in Italia per i guadagni che hanno maturato sul suolo italiano, dall’altra c’è chi ritiene che una scelta del genere finirà solo col ripercuotersi sull’utilizzatore finale.

La Digital Tax si fa strada: già nella Legge di Stabilità?

La proposta avanzata da Matteo Renzi prevede che nella Legge di Stabilità in dirittura d’arrivo venga introdotta questa tassa, a meno che non deciderà di occuparsene l’Europa tramite un provvedimento che possa riguardare tutti gli Stati membri e che semmai arriverà, lo farà non prima di giugno 2016. In molti, infatti, ritengono opportuno che una eventuale web tax andrebbe varata su un piano comunitario anche solo per uniformare una volta per tutte il trattamento che l’Europa deciderà di riservare alle enormi multinazionali operanti in tutto il mondo.

Al di là dell’aspetto etico e anche di un discorso puramente pragmatico che spinge a favore della web tax europea, c’è da dire che una eventuale tassa tutta italiana potrebbe essere resa inapplicabile dall’OCSE, un’organizzazione internazionale che occupandosi di cooperazione e sviluppo economico potrebbe bocciare questa misura proprio per auspicare che la si possa trattare su un piano europeo.

Cos’è la Digital Tax e in quale forma sarà introdotta in Italia

Per capire cos’è e come funziona la Digital Tax che si intende introdurre in Italia occorre fare riferimento alla bozza della proposta di legge presentata da Stefano Quintarelli e da Giulio Cesare Sottanelli, due deputati di Scelta Civica. La proposta in questione prende atto che governare il commercio elettronico e più in generale il guadagno raggiunto tramite Internet sia molto difficile, se non altro per via dell’immaterialità dei confini sui quali si opera.

L’idea è perciò quella di creare ordine partendo da due considerazioni essenziali: definire la residenza fiscale dell’impresa che effettua commercio tramite la rete e individuare il luogo nel quale vengono erogati i servizi dai quali nascono gli affari. Si tratta di due fronti molto delicati e che, in quanto tali, i colossi digitali sanno molto bene come sfruttare a loro totale favore (si veda il caso di Google che ha deciso di piantare radici in Irlanda proprio per via di una tassazione particolarmente favorevole).

La proposta di Scelta Civica che Renzi intende far propria del Governo è pertanto quella di dare il via libera a un regime destinato a viaggiare su un binario molto semplice: tassare i compensi, laddove questi vengono maturati, con una ritenuta alla fonte del 25%. Ciò comporta che ad ogni vendita effettuata da Facebook, Apple, Google, eBay e via dicendo sul territorio italiano, sarebbe tolto il 25% del valore direttamente da parte di un intermediario finanziario (come può essere una banca, una posta o un qualunque altro istituto di credito).

In alternativa, semmai l’idea di una ritenuta fiscale del 25% dovesse risultare sconveniente, queste multinazionali potrebbero pur sempre aprire una loro sede fiscale sul territorio Italiano e assoggettare i redditi agli standard previsti dal Fisco per ciò che riguarda la tassazione dei redditi societari. Amazon, ad esempio, ha deciso giusto qualche mese fa di optare per questa alternativa aprendo in pianta stabile una sede nel nostro Paese.

Tassare o non tassare? Favorevoli e contrari alla Digital Tax

Il dubbio amletico è però se sia conveniente per davvero introdurre una web tax all’italiana. Molti si dichiarano favorevoli, poiché in realtà, più che parlare di una nuova tassa, credono sia ben più opportuno descrivere questo fenomeno come un “rientro alla regolarità” da parte di aziende che fatturano fior fiore di quattrini e pagano tasse alla stregua di una piccola-medio impresa. Inoltre i proventi che una misura del genere assicurerebbe – stimati da più parti in circa 4 miliardi di euro annui – potrebbero essere destinati per la copertura di importanti provvedimenti mossi a favore del ceto medio (l’abolizione della Tasi sulla prima casa vale circa 4 miliardi di euro e potrebbe pertanto venire coperta con la stessa Digital Tax).

Dall’altra parte della barricata c’è però chi non vede in un nuovo balzello la soluzione ai nostri problemi. L’Italia vanta una delle pressioni fiscali più elevate al mondo, viene percepita come sede del malaffare e come la leader mondiale della burocrazia, viene vista come un’economia che non concede abbastanza spazio alle libertà economiche e che ha una concezione davvero bassa dei concetti di proprietà privata, libero mercato e concorrenza. Un affronto di questo tipo, potrebbe pertanto rivelarsi nient’altro che la ciliegina sulla torta per far sì che il Belpaese venga considerato una volta per tutte come il più sconveniente nel quale fare impresa (con tutto ciò che una notizia di questo genere comporterebbe in fatto di investimenti e di occupazione).

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