Spagna, un paese in crisi

Neanche il tempo di accantonare il problema relativo alla Grecia (tra l’altro ancora da risolvere) che l’Europa si trova a dover affrontare una nuova sfida. Si tratta della Spagna, un paese fortemente in crisi che rischia di aver bisogno di aiuti internazionali a breve. Il paese, infatti, seppur in grado di vantare un debito pubblico molto più basso del nostro, ha un’economia provata dall’altissima disoccupazione che ha raggiunto la pericolosa soglia del 20% (ricordiamo che l’Italia ha una disoccupazione tra l’8 e il 9%). Ma oltre alla mancanza del lavoro la Spagna è oggetto di una fortissima crisi del settore immobiliare che ha creato una vera e propria bolla pronta ad esplodere da un momento all’altro, come testimoniano le sofferenze, in crescita, sui mutui concessi dalle banche. Non a caso aumentano le banche in difficoltà mentre le prime stime parlano di circa 50 miliardi di euro necessari per far adeguare gli istituti di credito spagnoli alle richieste dell’Eba.

Si tratta di una bruttissima gatta da pelare per l’Unione Europea che, un po a sorpresa, si deve preoccupare di affrontare il caso Spagna quando tutti pensavano che il prossimo paese a rischio sarebbe stato il Portogallo. Spagna che fino ad un mese fa veniva considerata, dai mercati finanziari, un paese più sicuro dell’Italia come testimoniato dallo spread, che fino ad una decina di giorni fa ci vedeva penalizzati rispetti ad i titoli di stato di Madrid.

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Borse: Milano chiude una settimana difficile

La settimana appena passata è stata davvero molto difficile per le borse europee che hanno dovuto affrontare il rischio del default della Grecia (evitato in extremis grazie alle adesioni allo swap che darà il via libera agli aiuti da 130 miliardi di euro) e una serie negativa di dati dell’economia reale del vecchio continente. D’altronde si sapeva, Grecia a parte l’economia Europea sta male ma, sopratutto, sembra star male l’economia italiana come testimonia il dato reso noto venerdì relativo alla produzione industriale che, a gennaio, è calata del 2,5% contro ogni previsione. Si tratta, infatti, del ribasso più pesante dal dicembre del 2009. Un dato che testimonia come la crisi, almeno nel nostro paese, sia assolutamente lontana dall’essere risolta e che il lavoro del governo tecnico non è che all’inizio del lungo percorso che lo attende.

Tutto ciò, ovviamente, non poteva non ripercuotersi sulle borse che hanno fatto registrare una settimana dove la volatilità l’ha fatta da padrona. Tra i vari titoli merita un capitolo apparte Enel che, come dimostra il grafico qui sotto, ha toccato i valori minimi degli ultimi 10 anni. Il colosso energetico, infatti, ha chiuso il 2011 con un risultato netto in calo del 5,5% sul 2010 (-7% di utile netto) annunciando un corposo taglio ai dividendi che dovrebbe essere dell’ordine del 40-60%.

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Benzina: ormai si va verso i 2 euro

Il costo del carburante sembra non avere più un freno e, di conseguenza, il costo che occorre pagare per fare il pieno alla propria vettura. Ormai la direzione è quella dei 2 euro tanto che nella giornata di ieri si sono registrate punte massime, per la verde, di 1,95 euro nei distributori del centro Italia (dove la benzina sembra costare qualcosina di più che nel resto del paese). Una situazione davvero insostenibile per le famiglie italiane e che rischia di aggravarsi ulteriormente se, come sembra, il governo deciderà di attuare la modifica dell’iva al 23% come deciso lo scorso anno nel decreto Salva Italia. Proprio per testimoniare la situazione di difficoltà degli italiani abbiamo provato a fare un piccolo test per cercare di capire quanto costa un pieno di benzina o di diesel alla propria vettura.

Per prima cosa c’è da sottolineare che i rincari più grandi sono stati effettuati sul gasolio (non a caso la quota di vetture diesel era aumentata negli ultimi anni) che ora arriva quasi a sfiorare il prezzo della benzina verde.  Non a caso si registrano punte di 1,85 euro al litro e una media nazionale che si aggira tra 1,76 e 1,80 euro al litro.

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La Grecia si salva: 85% di adesioni allo swap

Finalmente arriva la notizia che tutti si aspettavano: Atene è salva, almeno per il momento, visto che lo swap ha ricevuto adesioni superiori al’85%. Un risultato, per certi versi, eccezionale che molti analisti davano per improbabile scommettendo su un’adesione tra il 75 e l’85% massimo. Questo risultato, invece, permette ad Atene di attuare una corposa ristrutturazione del debito scacciando, almeno nel breve periodo, l’incubo del default finanziario che oramai veniva dato come molto probabile. Il governo greco aveva fissato il limite di adesioni al 75% come prerogativa per far partire il piano di ristrutturazione del debito anche se aveva indicato il 90% di adesioni come obiettivo per far filare tutto liscio. Obiettivo che, stando ai primi dati forniti questa mattina, sembra essere stato centrato in pieno segno che la linea dura attuata dal governo greco in questi ultimi giorni ha dato i suoi frutti.

Di fatto la Grecia potrà ridurre il debito con i creditori privati della metà grazie al taglio del 53% del valore nominale dei titoli di stato. Non appena sarà ratificato l’accordo Atene potrà ricevere i 130 miliardi di aiuti stanziati dalla Banca Centrale europea senza i quali il paese sarebbe entrato inesorabilmente in default.

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Assicurazioni: gli italiani sono pessimisti

Gli italiani, oltre a considerarsi ignoranti in materia di assicurazioni, sono anche estremamente pessimisti sul fatto che le polizze possano costare meno per effetto del ddl liberalizzazioni varato dal governo. Questo è quello che emerge da un’inchiesta realizzata da facile.it su un campione di oltre 300 automobilisti alle prese con il rinnovo della propria assicurazione auto. Insomma i guidatori italiani sembrano aver abbandonato ogni speranza sulla possibilità di veder allineati i costi delle polizze italiane a quelle degli altri paesi europei tanto che solo il 9% del campione intervistato pensa che i prezzi dell’rc possano scendere realmente. Un altro aspetto interessante che emerge dall’inchiesta realizzata dal noto comparatore di polizze assicurative è che gli intervistati sembrano apprezzare di più le misure che si pongono l’obiettivo di ridurre i costi delle tariffe sul breve periodo.

La paura, infatti, è quella che le compagnie, nel corso dei mesi, possano trovare delle soluzioni alternative per riaumentare i prezzi delle polizze annullando, o quasi, l’effetto del decreto sulle liberalizzazioni. La mancanza di fiducia è testimoniata dal 56% degli intervistati che dichiara di essere fiducioso nella riuscita del provvedimento del governo solo se le compagnie non riusciranno a trovare un escamotage per aggirare il decreto.

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Imu: aumenta quella per negozi e imprese

Nelle scorse settimane abbiamo ampiamente parlato dell’Imu (la nuova imposta municipale unica che va a sostituire l’ici) e dei suoi effetti sui proprietari di prime case. Tuttavia in questi giorni è stato lanciato l’allarme relativo alle attività commerciali. Secondo le prime stime, infatti, l’Imu per negozi e imprese subirà dei fortissimi rincari rispetto alla vecchia ici mettendo a rischio chiusura diverse attività commerciali. Seonco le stime di Giancarlo Santilli, presidente dei costruttori di Pesaro, l’Imu porterà un aggravio che va da un minimo del 30 ad un massimo dell’80% rispetto a quanto le aziende versavano con la vecchia ici e il tutto avviene in un contesto già fortemente provato dalla crisi economica che ha ridotto le vendite. Molto, infatti, dipende dai singoli comuni che possono decidere se applicare l’aliquota minima o massima a seconda delle proprie esigenze di cassa. Il problema è che la maggior parte dei comuni sembra abbia deciso di applicare l’aliquota più alta, scelta dettata dalla necessità di incassare quanti più soldi possibili per rimettere in ordine i bilanci.

Secondo un’inchiesta de ilsole24ore.com reallizzata da Gianni Trovati, una buona parte dei comuni sta applicando un’aliquota del 9,6 per mille invece di quella al 7,6 per mille indicata come riferimento del governo.

Il motivo è presto detto: essendo l’Imu un’imposta comunale ma che, a differenza dell’ici, per circa la metà del suo importo va allo stato gli enti locali sono costretti ad aumentare l’aliquota per recuperare quanti più soldi possibili.

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