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Reddito di povertà, anche per i proprietari di prima casa!

Il reddito di povertà è una misura introdotta dal governo che mira ad aiutare circa 2 milioni di persone e che andrà a beneficio anche di chi è titolare di una proprietà. Ad annunciare la notizia è stato il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, in occasione della firma del memorandum d’intesa REI.

La misura riconosce un contributo mensile che potrà essere al massimo di 485 euro e che potrà essere percepito nel periodo di disoccupazione e, cosa interessante, anche per i primi mesi successivi all’inserimento nel mondo del lavoro (se non altro perché i contratti di oggi giorno sono talmente precari che chi trova un lavoro non può mica dire di essersi “sistemato”). Il Documento di economia e finanza ha stanziato per questa misura un totale di 1.2 miliardi per il 2017 e di 1.7 miliardi per il 2018. Nel memorandum sono stati definiti per bene i parametri che regoleranno il funzionamento del reddito di povertà, e in quest’ambito si è chiarito che per accedervi sarà necessario avere un modello ISEE non superiore a 6.000 euro.

Il REI potrà essere riconosciuto anche a chi possiede una casa di proprietà, ma solo nel caso in cui, a livello di reddito, questo soggetto dovesse versare in uno stato di povertà. Pertanto la misura non esclude a priori i proprietari di un dato patrimonio, ma stabilisce che il reddito ISEE non dovrà superare in ogni caso i 6.000 euro. Nonostante si tratti di un contributo piuttosto importante e nonostante il reddito di povertà si inquadri nella fattispecie di una misura universalistica, di fatto i sindacati hanno espresso parecchie perplessità.

Il REI ha destato infatti un grande scetticismo per via del fatto che non è così aperto a tutti come vuol far credere: ad esempio, per beneficiarne bisogna avere dei figli, non superare un dato limite di reddito e impegnarsi a un buon comportamento civico (che presuppone l’accettazione di determinate proposte di lavoro provenienti dal centro per l’Impiego). Il che non significa che questi non siano requisiti giusti, ma a detta di alcuni sindacati sarebbero troppo stringenti ed escluderebbero troppe persone che pur non rientrando in suddetti parametri, versano comunque in uno stato di povertà.

Ad esempio, chi non ha figli potrebbe comunque essere un soggetto inquadrabile come povero! Eppure secondo le regole del REI non ha diritto al contributo in quanto appunto non ha figli a carico. Il rischio, insomma, è che questo reddito di povertà escluda una grossa platea di poveri, poiché a detta dei sindacati sono stati ignorati due principi fondamentali per definire una misura efficace di sostegno: il principio di equità e quello di solidarietà.

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