Dopo la Grecia è allarme Ungheria

Abbiamo più volte parlato della crisi europea del debito e di come la Grecia non sia l’unico problema per l’economia dell’Unione Europea. Pochi giorni fa ricordavamo del caso del Portogallo, altro paese a rischio, che sta facendo di tutto per evitare di trovarsi nella stessa situazione del paese ellenico. Ma ad aggiungersi ad i casi “noti” arriva un altro paese: l’Ungheria. L’ungheria è un paese che non fa parte dell’eurozona ma la sua crisi è talmente violenta che rischia di diventare un boomerang per l’intera Europa con ripercussioni gravissime per tutte le aziende che hanno investito in questo paese. La crisi in Ungheria è talmente grave che è l’unica nazione Europea ad aver visto fallire definitivamente la propria compagnia aerea di bandiera. Un caso unico, al momento, che rispecchia a pieno la situazione dell’economia in genere provocata dall’attuale congiuntura economica e da scelte politiche errate.

Seppur l’economia ungherese non sia di dimensioni importanti gli effetti di un eventuale default del paese sarebbero gravissimi per tutto il vecchio continente. Basti pensare alla nostra Unicredit, il più importante gruppo bancario italiano insieme a Intesa, che è presente in maniera massiccia nel paese e potrebbe ricevere un durissimo colpo da un eventuale default.

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Italia: stipendi tra i più bassi d’Europa

Brutte notizie per il nostro paese che esce malissimo dal recente rapporto “Labour market statics” realizzato elaborando i dati Eurostat. Secondo questo rapporto, che ha preso in esame gli stipendi medi dei lavoratori dei paesi europei, l’Italia vanta gli stipendi tra i più bassi di tutta Europa. Dietro a noi si posizionano solo Malta, Slovacchia, Slovenia e Portogallo. Insomma siamo messi peggio perfino della Grecia che in questi giorni ha dovuto varare una serie di misure di austerity pesantissime per poter accedere agli aiuti internazionali ed evitare (per il momento) il default. A onor del vero bisogna sottolineare che i dati in questione si riferiscono al 2009 ma c’è da scommettere che la situazione, a distanza di 2 anni, non sia cambiata di molto. Il motivo principale di questo risultato “drammatico” è l’elevata tassazione che colpisce i ceti medio bassi ma, anche, la bassa crescita degli stipendi (in ben 5 anni gli stipendi italiani sono aumentati del 3,3% contro il 10 della Francia e il 16 del Lussemburgo).

Insomma, per il momento dobbiamo rassegnarci: i lavoratori italiani sono tra i meno pagati di tutta Europa nonostante siano in molti a lamentarsi degli eccessivi costi del lavoro in Italia. Pensiamo, principalmente, a quegli industriali che minacciano di chiudere le fabbriche in Italia per andare a lavorare all’estero dove i costi legati al lavoro sono inferiori.

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Fiaip: in calo il mercato immobiliare

Anche la Fiaip (la Federazione Italiana degli Agenti Immobiliari Professionali) lancia l’allarme sullo stato di salute del nostro mercato immobiliare. Secondo la federazione degli agenti immobiliari, infatti, nel 2011 le compravendite immobiliari sono calate del 5,94% rispetto al 2010. Da sottolineare anche che nello stesso periodo abbiamo assistito ad un ribasso medio del 7% delle quotazioni degli immobili. Un dato estremamente negativo che conferma, ancora una volta, il momento di difficoltà attraversato dal settore immobiliare nel nostro paese. Secondo il report della Fiaip gran parte delle cause di questo brusco calo sarebbero da imputare alla stretta creditizia che ha reso molto più difficile e costoso riuscire ad ottenere un mutuo per l’acquisto della casa. In più c’è da considerare anche l’incognita IMU, che potrebbe aver scoraggiato una percentuale dei piccoli acquirenti.

Insomma una situazione estremamente complessa, quella fotografata dalla federazione degli agenti immobiliari, che sottolinea, anche, il momento di difficoltà che stanno attraversando le agenzie costrette a dover lavorare su margini sempre più bassi perchè si vendono meno case. Inoltre, stando ai dati diffusi, si è allungato notevolmente il tempo trascorso tra la presa in carico della vendita di un immobile e la data di sottoscrizione del contratto preliminare che si attesta intorno ad una media di 6-9 mesi.

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La ripresa dell’Islanda: un miraggio per la Grecia?

Negli ultimi tempi sono diversi i Paesi che hanno subito un downgrade da parte delle agenzie di rating. Tra i principali troviamo quelli di Moody’s che due settimane fa ha tagliato il rating di Spagna, Portogallo, Italia, Slovenia, Malta e Slovacchia – tutti questi Paesi hanno dovuto indietreggiare di un gradino nel proprio rating. L’agenzia americana non ha risparmiato nemmeno Austria, Francia e Gran Bretagna che sono state messe sotto osservazione con outlook negativo. Non è difficile immaginare le conseguenze di questi tagli sull’andamento dei mercati finanziari europei e del trading in generale. In netta controtendenza l’Islanda guadagna invece una promozione del proprio rating di debito, sia da Moody’s sia da un’altra agenzia, Fitch, passando recentemente da BB+ a BBB-. Un portavoce di Fitch ha dichiarato che l’Islanda ha fatto passi da gigante nel “ristrutturare la stabilità macroeconomica” e che la “reazione politico economica poco ortodossa che è stata attuata a suo tempo, si è dimostrata efficace”.

L’economia dell’Islanda ha vissuto un momento di profonda crisi nel 2008 quando le sue tre maggiori banche si sono trovate con un’ammontare di debiti accumulati pari a ben dieci volte il PIL totale della nazione stessa. Il peso dei debiti era talmente alto da costringere le banche in questione al fallimento, lasciando che fossero i creditori a pagare le conseguenze della crisi debitoria.

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Investimenti: attenzione ai bancari

In queste ultime sedute l’andamento dei titoli bancari è stato davvero disastroso con perdite che, in alcuni casi, sono state davvero molto rilevanti. Tanto per fare un esempio nell’ultima seduta di ieri Unicredit ha perso oltre il 6%, Intesa San Paolo il 2,23%, il Monte dei Paschi di Siena il 3,28% e il Banco popolare ben il 3,55%. Questo pessimo andamento è dovuto alla mancata proroga del provvedimento restrittivo della Consob in materia di posizione nette corte sui titoli del comparto finanziario. In pratica da lunedì si potrà riprendere a operare short sui titoli, stessa decisione presa a metà febbraio da Francia, Spagna e Belgio. Anche li nei giorni precedenti alla reintroduzione dell’operatività short le quotazioni dei bancari avevano subito dei clamorosi tonfi salvo poi riprendere le normali quotazioni nei giorni seguenti.

Tuttavia non è detto che lo stesso discorso si possa applicare anche ai titoli bancari italiani che stanno attraversando un periodo (piuttosto lungo a dire il vero) davvero molto difficile in cui hanno bruciato gran parte della propria capitalizzazione.

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Conti correnti: quanto costa il fido?

Grazie alla nostra indagine conclusa in questi ultimi giorni dal nostro staff ci è sto possibile fare il punto della situazione circa l’offerta di fidi da parte dei principali istituti di credito che operano sul nostro territorio. L’obiettivo è quello di offrire una guida completa ai nostri lettori così da permettere una valutazione oggettiva delle proposte delle banche volte a soddisfare le esigenze di coloro che necessitano di un fido. Quello che più ci ha sorpreso sono state le differenze oggettive dei tassi di interesse applicati dai diversi istituti di credito che variano, per le tipologie di conto prese in considerazione, da un minimo del  12,01% ad un massimo del 19,25% per le banche “tradizionali” e circa il 6-7% per le banche online. Una differenza molto significativa che può incidere in maniera determinante sulla scelta di un conto corrente specialmente a vantaggio dei conti online che offrono un maggior compromesso nel rapporto qualità prezzo.

Tra le banche prese in considerazione per il nostro studio segnaliamo il Monte dei Paschi di Siena, Unicredit, Intesa San paolo, la Banca di credito Cooperativo più quelle banche che offrono conti correnti online, ossia Fineco, WeBank, Ing Direct, Banca Sella e IWbank. Questo paniere di 9 istituti di credito permette di dare uno sguardo a 360 gradi sulle condizioni economiche applicate ai conti delle famiglie italiane.

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