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Licenziamenti dopo il Jobs Act tra indennità e reintegro

Il Jobs Act ha letteralmente stravolto il mercato del lavoro cambiandone le regole di ingresso così come quelle di uscita. E in questa fase vogliamo proprio approfondire la tanto vociferata “flessibilità in uscita” che di fatto porta l’individuo alla perdita del suo posto di lavoro. Con questa riforma, infatti, sono fortemente mutate le regole relative al licenziamento e si è contestualmente introdotta una indennità da riconoscere ai dipendenti dimissionari: ma come funziona, a quanto ammonta e a chi si applica questa somma?

Indennità di licenziamento: quando si applica e a quanto ammonta

Accade di norma che i rapporti di lavoro possano terminare per ragioni organizzative, o a causa di una crisi economica dell’azienda, o per via della cessazione dell’attività oppure per il venir meno di quelle mansioni alle quali il lavoratore coinvolto del licenziamento era deputato. La legge prevede però che se il lavoratore licenziato impugna il licenziamento poiché lo ritiene illegittimo, o meglio, motivato da cause di natura personale, sindacale o pretestuosa e il Giudice gli dà ragione, allora vige l’obbligo di riconoscergli questa indennità di licenziamento.

Il datore di lavoro che ha licenziato il dipendente X senza un giustificato motivo, in sostanza, deve riconoscer lui una indennità pari a 2 mensilità per ciascun anno di servizio tenendo conto che il minimo è di 4 e il tetto massimo di 24 mensilità. Per quel che riguarda imprese aventi meno di 15 dipendenti, invece, l’indennità è pari ad 1 mensilità per anno di servizio e va da un minimo di 2 ad un massimo di 6 mesi.

Ma cos’è cambiato, alla luce di tutto ciò? Semplicemente, prima dell’entrata in vigore del Jobs Act i contratti di lavoro che terminavano senza un giustificato motivo oggettivo avevano la possibilità di essere ripristinati col reintegro e di essere risarciti con una determinata indennità (con la riforma del mercato del lavoro è sostanzialmente sparito il reintegro).

Diverso è invece il caso in cui dietro il licenziamento dovesse esserci una ragione discriminatoria: in questa ipotesi il Jobs Act non interviene modificando alcunché, pertanto i lavoratori mandati via perchè discriminati per ragioni di razza, sesso, lingua, salute, orientamento sessuale, condizioni personali e così via continuano a vedersi riconosciuta la possibilità di ottenere il reintegro con tanto di risarcimento annesso. In questo caso il risarcimento è pari a un minimo di 5 mesi di stipendio tenendo conto del fatto che tale somma viene calcolata basandosi sulla retribuzione che non si è più percepita dal giorno di licenziamento fino a quello del reintegro.

Licenziamenti per giusta causa: come vengono regolati?

Il licenziamento per giusta causa ha luogo quando il lavoratore assume un comportamento piuttosto grave o quantomeno tale per cui si ritiene oggettivamente impossibile proseguire il rapporto del lavoro. Se dietro il licenziamento c’è un motivo di questo genere, di conseguenza, tutto avviene come “una volta” ovvero senza indennità né reintegro da riconoscere al dipendente che si è macchiato di un cattivo comportamento sul luogo di lavoro. Ma cosa accade se il Giudice ritiene che il comportamento del lavoratore non sia stato così grave o se invece stabilisce addirittura che non vi sia stato alcun atto illecito? In questa evenienza il licenziamento avverrà ugualmente anche se il datore di lavoro si ritroverà a dover versare un’indennità di licenziamento che va da un minimo di 4 ad un massimo di 24 mensilità; mentre invece nell’ipotesi in cui il licenziamento dovesse essere totalmente illegittimo allora il lavoratore avrà l’opportunità di scegliere tra il reintegro e il risarcimento.

Imprese con meno di 15 dipendenti: cosa cambia?

Abbiamo già dato uno sguardo alle nuove regole previste per la flessibilità in uscita, e in alcune di quelle c’è anche ragione di applicabilità per le piccole imprese. Tuttavia per rendere più semplice il discorso vediamo di ricordare in un paragrafo a parte come funzioneranno d’ora in avanti i licenziamenti avvenuti in questa realtà impresarie: per le aziende con 15 dipendenti o meno si applicano le stesse regole previste per le più grandi per quanto attiene il licenziamento illegittimo, ma quel che cambia è la misura del risarcimento. In queste piccole imprese, infatti, il lavoratore licenziato può arrivare a percepire fino ad un massimo di 6 mensilità. Identiche condizioni – vale a dire reintegro + risarcimento – sono invece previste nell’ipotesi di licenziamenti aventi natura discriminatoria.

Licenziamenti collettivi: come cambiano le regole

Chiudiamo l’approfondimento con i licenziamenti collettivi. In questo caso ai lavoratori coinvolti dal licenziamento collettivo spetta un risarcimento che va da un minimo di 4 ad un massimo di 24 mensilità; ma se il licenziamento collettivo dovesse esser stato varato in forma non scritta sarebbe previsto il reintegro nel posto di lavoro per tutti i dipendenti coinvolti. Il licenziamento collettivo, tanto per intenderci, ha luogo quando il datore di lavoro si ritrova a dover fare i conti con una crisi economica dell’azienda, con una ristrutturazione produttiva o con la chiusura definitiva dell’attività tale per cui si necessita esubero di personale.

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