Pensioni, ultime novità: a che punto siamo con la riforma?
Al centro dell’operato del governo, si sa, c’è il caldo tema delle pensioni. Negli ultimi mesi si sono rincorse molte notizie che passo dopo passo hanno provato a monitorare quanto esecutivo e sindacati stanno tuttora facendo per arrivare a una soluzione condivisa, a una soluzione che possa cioè riformare una volta per tutte il comparto delle pensioni. In linea di massima la riforma è stata delineata e trova il suo punto di massima espressione nel cosiddetto Ape.
L’Ape è una formula studiata dal governo che sta a significare Anticipo Pensionistico. Si tratta di un prestito previdenziale che consentirà a determinate fasce di lavoratori di accedere anticipatamente alla pensione grazie a un prestito bancario; prestito che una volta scattati i requisiti per la pensione di vecchiaia andrà naturalmente restituito alla banca con tanto di interessi maturati (perché si tratta a tutti gli effetti di un “normale” finanziamento). Il nodo della questione che vede divisi governo e sindacati sta proprio qui, ossia nel fatto che il lavoratore, oltre che a restituire la somma che gli è stata data in prestito, si debba sobbarcare anche l’onere degli interessi: i sindacati chiedono che questi finanziamenti siano a tasso zero o che gli interessi maturati rimangano a carico della fiscalità generale.
Mentre l’Ape continua a suscitare sostenitori e perplessi, nel frattempo il governo, sempre sul fronte delle pensioni, sta lavorando anche ad altre questioni: la ricongiunzione dei contributi da una parte e la ricerca di una quadra per i lavoratori precoci dall’altra. Per quanto riguarda la prima misura il governo Renzi ha già confermato di voler mettere fine alla piaga della ricongiunzione a pagamento, per cui è probabile che con la prossima legge di Stabilità verrà riconosciuto il diritto ai lavoratori di ricongiungere i contributi in un’unica cassa previdenziale senza dover pagare per questo una somma di denaro (che in alcuni casi arriva ad essere davvero spropositata). E una risposta potrebbe arrivare a breve anche sul secondo tema, cioè quello dei lavoratori precoci.
Da questo punto di vista l’idea è quella di applicare ai lavoratori precoci – cioè a quelle persone che hanno cominciato a lavorare anche a 14 o 15 anni – la cosiddetta quota 41: ciò significa che chi ha iniziato a lavorare prima della maggiore età, grazie all’intervento che si sta studiando potrà andare in pensione non tenendo conto dell’età anagrafica ma solo ed esclusivamente di un unico parametro: l’aver versato 41 anni di contributi (pertanto se si inizia a lavorare 16 anni, con 41 anni di contributi versati si potrebbe andare in pensione in quest’ottica anche a 57 anni).