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Cina, gli accordi firmati dal governo non piacciono all’ex premier Gentiloni

paolo gentiloni

L’opposizione governativa ha un suo perché, a volte politicamente utile, altre volte fine a se stesso o per partito preso. Se l’ex premier italiano Paolo Gentiloni disapprova la partnership firmata dal governo giallo-verde con la Cina avrà le sue buone ragioni, condivisibili o meno. “A livello politico e geo-politico, ritengo sinceramente poco saggio da parte del governo aver preso una tale decisione senza prima consultare l’Unione Europa e gli altri alleati italiani”, afferma Gentiloni. “Non vedo un rafforzamento della nostra posizione sul commercio in tutto questo”.

L’adesione dell’Italia all’iniziativa cinese “Belt and Road” ha suscitato accese polemiche. E’ la prima ed unica nazione dell’UE a farlo. Durante la visita a Roma del presidente cinese Xi Jinping sono stati firmati in totale 29 accordi, dal valore di 2,5 miliardi di euro. I settori maggiormente trattati sono stati quello agricolo, finanziario ed energetico. Per le principali aziende italiane significa nuovi accessi nel mercato cinese.

Le dichiarazioni di Gentiloni, che nel 2017 visitò la Cina, fanno eco a quanto affermato da molti osservatori i quali considerano gli accordi siglati dall’Italia più come un simbolico cambio di paradigma che una strategia economica.

“Ritengo gli accordi di poca rilevanza dal punto di vista economico”, dichiara Gentiloni. “La nostra economia non avrà nessun particolare scossone e la bilancia commerciale tra Cina e Italia rimarrà immutata. Da punto di vista politico, ciò mostra come questo governo senta poco l’appartenenza all’Unione Europea e quindi ritengo la firma del MOU (Memorandum of understanding) poco saggia”.

I criteri propri della cultura politico-economica occidentale mettono in guardia dei pericoli insiti nel debito cinese, descrivendo l’iniziativa come stratagemma per espandere l’influenza geopolitica e strategica cinese, la quale ha l’intento di aumentare l’esportazione di merci cinesi utilizzando i possibili legami con l’Europa e l’Africa.

Dopo le dichiarazioni rilasciate in merito dal ministro degli esteri tedesco Heiko Maas, che ha definito la decisione dell’Italia “poco intelligente e pericolosa dal punto di vista dell’indipendenza commerciale”, Gentiloni ha cercato ugualmente di difendere il paese affermando che “le preoccupazioni che l’Italia diventi economicamente legata alla Cina sono infondate”. “Il nostro paese non è uno Stato africano”, afferma l’ex premier, “e non avverrà mai un’invasione cinese all’indomani di questi accordi. Basti pensare che paesi come Regno Unito e Germania hanno più accordi con la Cina rispetto all’Italia. Naturalmente, la cautela è d’obbligo su questioni legate alla sicurezza e alle telecomunicazioni”.

Proprio sul tema telecomunicazioni si è soffermato particolarmente Gentiloni: “Dopo quanto accaduto di recente, con il governo statunitense che si è schierato contro il gigante cinese delle telecomunicazioni Huawei, la prudenza non è mai troppa. Washington afferma che il ruolo della Huawei nella costruzione delle infrastrutture 5G in tutto il mondo è una minaccia per la sicurezza, consentendo al governo cinese di spiare meglio gli utenti”. Accuse rimandante al mittente dal governo cinese.

La legislazione “golden power” italiana si riferisce alle potenze statali progettate per proteggere le industrie strategiche, che verrà anche estesa alle tecnologie 5G. Ciò comporterebbe l’obbligo per le imprese italiane, sia nel settore privato che in quello pubblico, di dichiarare al governo qualsiasi tecnologia 5G acquistata da paesi non europei. “Spero che il nuovo governo utilizzi questi mezzi, questi strumenti, per evitare situazioni pericolose”, ha aggiunto Gentiloni.

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