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Età pensionabile: il sistema pensionistico italiano in breve

Il comparto pensionistico è senza alcun dubbio uno dei più riformati, vessati, discussi e controversi degli ultimi anni. Dopo l’importante riforma attuata dall’allora Governo Monti, i parametri presi in considerazione per definire i requisiti e l’ammontare della pensione sono praticamente stati stravolti; e stando a quanto si va vociferando sembra proprio che anche gli esecutivi successivi abbiano intenzione di apportare qualche modifica in materia. Proprio per fare chiarezza su un tema in continua evoluzione, diamo quindi un’occhiata in maniera sintetica ma al tempo stesso minuziosa di quel che è l’attuale sistema pensionistico italiano.

Età pensionabile: requisiti per accedervi

L’ultima Riforma delle Pensioni andrà a regime solo dal 1° gennaio 2016, tant’è che fino a quella data ciascun contribuente dovrà valutare autonomamente se ci siano i requisiti per poter lasciare il mondo del lavoro. Inoltre va specificato che l’età minima pensionabile va progressivamente aumentando nel corso del tempo, quindi non prendiamo i numeri che stiamo per fornire come validi di qui fino all’eternità (ma solo come quelli in vigore a partire dal prossimo anno in avanti). Per chiarezza ci basti quindi sapere che la Riforma in questione prevede quanto segue:

Settore privato – Si è stabilito che i lavoratori di sesso maschile dovranno avere 66 anni e 7 mesi di età per poter andare in pensione; per le donne i requisiti stabiliscono invece un’età minima pensionabile di 65 anni e 7 mesi. Dal 2018 in avanti uomini e donne del settore privato saranno accomunati da un requisito unico dei 66 anni e 7 mesi di età minima (soglia destinata ad aumentare progressivamente fino al 2050).

Settore pubblico – Per quanto riguarda i dipendenti pubblici le cose cambiano. Fino a poco tempo fa questi potevano godere della possibilità di andare in pensione prima rispetto a quanto non potessero fare i colleghi del privato, ma con le nuove norme la situazione si è sostanzialmente capovolta: i dipendenti del settore pubblico già dal 2016 dovranno rispettare un’età minima di 66 anni e 7 mesi (limite che il privato conoscerà solo dal 2018). Le regole del pubblico valgono indistintamente sia per gli uomini che per le donne.

Autonomi – Per quanto attiene i lavoratori autonomi uomini, questi potranno andare in pensione una volta raggiunti i 66 anni e 7 mesi, mentre le lavoratrici autonome potranno farlo solo al raggiungimento dei 66 anni e 1 mese.

Dal retributivo al contributivo: ecco cosa cambia

Quando si parla di Riforma delle Pensioni sentiamo spesso sottolineare le differenze che corrono tra sistema retributivo e sistema contributivo. I cambiamenti introdotti dal Governo Monti non hanno solo stabilito la sostanziale eliminazione delle pensioni di anzianità (poichè d’ora in avanti conterà solo la vecchiaia del contribuente quale condizione per accedere alle pensione), ma ha anche definito il principio da seguire per determinarne l’ammontare.

Ci sono infatti tre metodi per calcolare l’importo definitivo della pensione: con il sistema retributivo, il quale stabilisce che il totale della pensione vada calcolato sulla media dei redditi percepiti; con il sistema contributivo che stabilisce il principio secondo cui si percepirà tanto quanto si è versato nel corso della propria vita lavorativa; ed il sistema misto che prevede una sorta di mix tra le due forme appena descritte.

Dal momento in cui ora viviamo in un sistema interamente votato al contributivo, facciamo luce in merito al suo funzionamento. Il suo principio di fondo sancisce che ci spetterà una pensione proporzionale ai contributi effettivamente versati, ma l’ammontare dei contributi non ha certo un valore definito lungo il corso degli anni: per questa ragione questo importo viene rivalutato tenendo conto dell’indice Istat delle variazioni quinquennali del Pil e moltiplicato per un coefficiente prestabilito.

Età pensionabile: perchè va sempre aumentando?

Come abbiamo specificato poc’anzi, le età pensionabili appena descritte fanno riferimento a quelle in vigore dal 2016 in poi. Ma dipendenti privati, pubblici e lavoratori autonomi dovranno aspettarsi un incremento sempre maggiore dell’età necessaria per andare in pensione (la tabella allegata tende a chiarire definitivamente i requisiti previsti per i decenni a venire).

Ma per quale motivo ci vogliono far lavorare fino a sfiorare quasi i 70 anni? Non certo per masochismo puro, ma solo ed esclusivamente per permettere al sistema previdenziale di non collassare nel tempo: la spesa per le pensioni è una delle più grandi che l’Italia si ritrova a dover sostenere, di conseguenza era, è, e sarà necessario rivedere l’impianto pensionistico per far sì che questo non sia foriero di debiti.

Tra l’altro, come se tutto ciò non bastasse per comprendere i motivi di una riforma di questo genere, va segnalato anche l’importante aspetto della “speranza di vita”. Dal momento in cui si vive più a lungo occorre aggiornare le normative per far sì che la gente vada in pensione più tardi. A tal proposito una stima del CIA World Factbook ha indicato l’Italia come uno dei Paesi più longevi della Terra: il Belpaese è all’11esimo posto in quanto ad aspettativa di vita, tant’è che i nostri uomini vivono in media 79,40 anni mentre le donne italiane arrivano a toccare una media di 89,87 anni.

Sistemi pensionistici nel mondo: la top 10 dei migliori

Nel corso di questi anni sono state numerose le ricerche effettuate per tirar fuori i migliori sistemi pensionistici. Uno dei report più interessanti, ben fatti e recenti è il Melbounr Mercer Pension Index che basandosi sui parametri di adeguatezza, integrità e sostenibilità ha tentato di stilare una classifica di quelli che possono essere ritenuti i Paesi con i sistemi pensionistici di più alta qualità. La classifica che ne è venuta fuori è la seguente e, nel caso in cui fossimo desiderosi di saperlo in via anticipata, no, non vede affatto la presenza dell’Italia!

  1. Danimarca (valore dell’indice: 82,9)
  2. Olanda (valore dell’indice: 78,9)
  3. Australia (valore dell’indice: 75,7)
  4. Svezia (valore dell’indice: 73,4)
  5. Svizzera (valore dell’indice: 73,3)
  6. Canada (valore dell’indice: 69,2)
  7. Regno Unito (valore dell’indice: 64,8)
  8. Cile (valore dell’indice: 63,3)
  9. Stati Uniti (valore dell’indice: 59)
  10. Polonia (valore dell’indice: 58,2)

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